sabato 24 marzo 2012

Take Shelter



Curtis La Forche è un onesto e affettuoso padre di famiglia, lavora come operaio in un cantiere edile ed ha una figlioletta sordomuta a cui lui e la moglie Sam si dedicano con cura e dedizione, nonostante la loro situazione economica non sia certo delle migliori. La loro vita scorre a dispetto delle difficoltà, ma tutto cambia quando Curtis comincia ad essere perseguitato da orrendi incubi ricorrenti, in cui una tempesta di proporzioni bibliche minaccia la sua sicurezza familiare. L'uomo inizia ad essere ossessionato dal proteggere la sua famiglia dalla catastrofe, e per fare ciò iniziare a mettere a repentaglio il lavoro e il suo rapporto con chi gli sta intorno, in una vera e propria discesa (almeno così sembra...) verso la follia. In Take Shelter, il regista Jeff Nichols mescola suggestioni che rimandano al primo Stephen King (impossibile non pensare a Shining) e a svariati episodi biblici, con sprazzi di mitologia greca (Cassandra, profetessa destinata a non essere creduta), per narrare con fortissima potenza visiva ed espressiva la follia che si annida nel quotidiano. Siamo continuamente portati a chiederci se le visioni di Curtis siano deliri schizoidi o presagi inascoltati, poiché entrambe le tesi vengono sostenute a più riprese: dunque, ogni svolta nell'intreccio è assolutamente inaspettata. Impossibile non riconoscere, nei tormenti del protagonista, richiami ad eventi che hanno colpito gli USA recentemente, come l'uragano Katrina che nel 2005 distrusse New Orleans, ma potremo spingerci nel dire che le sue ossessioni rappresentino le preoccupazioni del mondo moderno, devastato dal tracollo finanziario. O magari si vuole semplicemente descrivere la facilità con cui si può essere distrutti dalle proprie paure? Tutti interrogativi che Nichols non chiarisce nemmeno nel maestoso finale, ma con i quali tenta di ingarbugliare ulteriormente il pubblico, rendendolo confuso come i personaggi. Metà della grandezza di Take Shelter deriva indubbiamente dai suoi due attori principali, ovvero Michael Shannon e Jessica Chastain. Il primo, sebbene abbonato come sempre al ruolo di folle farneticante, regala al personaggio le giuste dosi di vulnerabilità e dolcezza, rendendolo un everyman dal quale è impossibile sentirsi distanti: siamo con lui in ogni momento e ne condividiamo le ansie. La Chastain, instancabile attrice rivelazione, è credibilissima e capace di mostrare un ampio range di emozioni contrastanti in pochi secondi. Un'ultima notazione la merita la straordinaria colonna sonora di David Wingo, quasi un Thomas Newman filtrato attraverso John Carpenter.

sabato 17 marzo 2012

Jane Eyre



Continua il nostro breve excursus attraverso alcuni dei film che ho preferito, tra quelli che, nel loro paese di provenienza, sono usciti nel 2011. Oggi scriverò a tocca a Jane Eyre, ennesima trasposizione (la trentottesima!) del capolavoro letterario ottocentesco di Charlotte Bronte, che narra la storia della giovane istitutrice innamorata del misterioso proprietario della magione in cui lavora. Adattato integralmente in svariati sceneggiati televisivi inglesi, principalmente ad opera della BBC, il romanzo non ha goduto di altrettanto rispetto al cinema: ricordo principalmente l'adattamento del '96 firmato da Franco Zeffirelli, che, pur rispettandone l'intreccio e scegliendo come protagonista una Charlotte Gainsbourg piuttosto adatta, non rendeva affatto giustizia all'atmosfera gotica ed inquietante del libro, e soprattutto risultava cinematograficamente nullo e poco incisivo. Tutto il contrario di questa ultima trasposizione, diretta dal filmmaker indipendente Cary Fukunaga, scelto appositamente dalla BBC per prendere le redini del progetto. Fukunaga mostra grande maestria nel girare un film ottimamente in equilibrio tra fedeltà per il materiale di partenza e capacità di realizzare un lavoro in grado di reggersi sulle sue gambe. Con ampie panoramiche e morbidi carrelli, lo spettatore viene avvolto nel racconto, nel desiderio della protagonista di poter vivere indipendentemente, lontana dall'oppressione in cui vive. Grande rilievo viene dato all'ambiente: le brughiere avvolte dalla nebbia e devastate dal vento e dalla pioggia rappresentano bene la solitudine in cui Jane si trova all'inizio del film, e ogni volta che un raggio di sole fa la sua apparizione, ci sentiamo quasi sollevati, privati di un peso, proprio come succede ai protagonisti. Ottimamente scelti i due interpreti principali: Mia Wasikowska è perfetta nel ruolo di Jane, e riesce a dare la giusta dose di forza e vulnerabilità che la parte richiede. Ma il più grande punto di forza della pellicola è sicuramente Michael Fassbender nei panni di Rochester. Lo straordinario attore irlandese, sempre più in ascesa negli ultimi tempi, rende tutte le complessità del personaggio: il suo umorismo spesso crudele e aggressivo, la sofferenza che si nasconde dietro il suo sguardo, i fantasmi che lo tormentano, sono tutti elementi che vengono resi in tutto e per tutto. L'eroe byroniano che popola tanti romanzi inglesi ottocenteschi si mostra qui in tutta la sua forza. Sempre straordinaria Judi Dench, che riesce a rendere memorabile il personaggio della signora Fairfax. Ottime le musiche del nostro connazionale Dario Marianelli, che danno la giusta dose di drammaticità al tutto. Jane Eyre è un film capace di conquistare sia gli appassionati del libro della Bronte, che lo spettatore occasionale. Al prossimo appuntamento, che ci riporterà negli Stati Uniti. 

sabato 10 marzo 2012

Drive



Oggi iniziamo una breve rassegna di alcuni dei migliori film usciti fra il 2011 e questi primi mesi del 2012. Iniziamo con Drive, primo lavoro americano del danese Nicolas Winding Refn, premiato con la Palma d'Oro per la miglior regia all'ultimo festival di Cannes. Sentii parlare per la prima volta di questo film nell'ormai lontano 2010. Lo archiviai subito come uno dei tanti film con macchine veloci ed esplosioni. Non sapevo che al timone ci fosse l'autore del cult Pusher, e che non si sarebbe trattato del solito blockbuster. Tratto dal romanzo di James Sallis, Drive ci assorbe fin da subito nella sua atmosfera, grazie a una fotografia dai toni quasi onirici, a una preponderante estetica anni '80, e a una colonna sonora lisergica in cui abbondano synth e immacolati cori angelici. Le vicende del Driver senza nome interpretato da Ryan Gosling, di giorno stunt, di notte autista da rapina (un ruolo che negli anni '70 sarebbe stato affidato a Steve McQueen) conquistano subito per la loro semplicità: osserviamo un uomo solo e con problemi nel relazionarsi col prossimo, lo vediamo avvicinarsi ad Irene, una giovane donna, e a suo figlio Benicio, e affezionarsi lentamente a loro, un avvicinamento gestito con grazia e silenzi espressivi. Quando Standard, il marito di Irene, esce di galera, Driver decide di aiutarlo: l'uomo ha bisogno di soldi per pagare un debito contratto in prigione. Ma la situazione presto degenera e il nostro Driver passerà da difensore dei deboli a vendicatore senza pietà... Drive è un film che dalla trama potrebbe sembrare banale: impressione che viene smontata fin dall'inizio. I personaggi corrispondono a stereotipi ben rodati, ma nonostante ciò appaiono nuovi, credibili, stratificati. Gosling riesce a caratterizzare il protagonista con un'interpretazione volutamente inespressiva e “sotto alle righe”, che riesce a comunicare molto: Driver potrebbe apparire come un solitario dal cuore d'oro, ma nasconde dentro di sé una violenza che aspetta solo di esplodere, e quando lo fa si mostra in tutta la sua furia, trasformandolo in un inarrestabile angelo della morte. Così come l'Irene interpretata da Carey Mulligan nasconde tante ferite dietro alla sua dolcezza. Grande attenzione è riservata ai personaggi secondari: è impossibile non compatire Bryan Cranston nei panni del mentore Shannon, un uomo ferito dalla vita ma ricco di bontà e umanità; mentre Oscar Isaac, nei panni di Standard, rifugge dal clichè del marito violento e criminale, riuscendo a rappresentare un personaggio positivo, che ha avuto solo la sfortuna di trovarsi nei posti sbagliati ai momenti sbagliati. E quando si hanno grandi caratteristi come Albert Brooks e Ron Perlman, i “cattivi” non sembrano i soliti mafiosi da fumetto. Dietro un'estetica sognante e retrò, Drive nasconde un mondo malato e violento: un mondo di carne, sangue e sudore, in cui non ci si può fidare di nessuno se non di sé stessi. E in cui un personaggio come Driver, pur con tutte le sue contraddizioni, appare l'unico real hero, come recita la bella canzone dei College che fa da sottofondo al finale. Sono d'accordo con il presidente di giuria di Cannes: Drive è il miglior noir del decennio. E se lo dice Bob De Niro, possiamo esserne certi.

giovedì 8 marzo 2012

Lezioni di piano


Jane Campion è sicuramente una degli autori più significativi degli ultimi vent'anni, nonchè, insieme a Kathryn Bigelow, la regista più rappresentativa in un'industria in cui, ingiustamente, il divario tra i sessi non è stato ancora del tutto superato (ma siamo sulla buona strada, basti pensare a nomi come Andrea Arnold, Debra Granik, Kimberly Peirce...). Lezioni di piano è senza alcun dubbio la pellicola più rappresentativa all'interno della filmografia della Campion. Un film che racconta della possibilità di liberarsi e di rinascere (spiritualmente, ma in questo caso anche sessualmente) all'interno di un'ambiente ostile. In questo, la Nuova Zelanda paludosa e inesplorata non è distante dalle ostili brughiere dei romanzi delle sorelle Brontë. L'intreccio è dei più semplici: una donna viene spedita dal padre in una terra sconosciuta insieme a sua figlia, per sposare un uomo mai visto prima, ma si innamorerà di un altro e verrà punita dal marito. A rendere nuovo il tutto è il fatto che la protagonista Ada sia muta dall'età di sei anni, per ragioni che nemmeno lei ricorda. Questo mutismo può essere eletto a simbolo del silenzio a cui il sesso femminile è stato costretto per secoli, e all'impossibilità di espressione a cui le donne erano ridotte nell'epoca vittoriana in cui si svolge il film. Non è un caso che, appena giunta dal marito, egli privi Ada del suo prezioso pianoforte, non comprendendo il significato che ha per lei. L'unico mezzo con cui Ada riesce a "comunicarsi" al mondo è proprio quel piano, e la struggente musica che lei compone è il suo personale linguaggio, l'unico modo in cui riesca a sentirsi partecipe della sua vita. L'unica altra possibilità per esprimersi è la figlia, che però è ancora bloccata dall'infanzia. La liberazione dalla società è un altro tema importante: la passione inizialmente solo fisica vissuta con Baines, un uomo illetterato vissuto coi Maori, si trasforma in un amore liberatorio che diventa per Ada un nuovo modo di affermare sè stessa. Un film che non sarebbe lo stesso senza il decisivo apporto del cast, su tutti Holly Hunter e Anna Paquin, entrambe giustamente ricompensate con l'Oscar. La Hunter incarna Ada, regalando un'interpretazione fatta di microscopici cambiamenti nell'espressione, di piccole variazioni quasi impercettibili, che ci comunicano i pensieri della protagonista. La piccola Anna Paquin, oggi attrice di successo, riesce a controllarsi e a dimostrarsi padrona del suo personaggio: è fantastico vedere come questa figura sia complessa. Molto bravi anche Sam Neill e Harvey Keitel, il primo dona la giusta severità a un uomo convinto di fare del suo meglio, ma incapace di relazionarsi col prossimo, e il secondo riesce a restituire l'apparenza rozza e l'animo sensibile di Baines. Merita particolare attenzione un altro fondamentale protagonista: la colonna sonora di Michael Nyman, forse l'elemento che più contribuisce a elevare il film al rango di capolavoro.