giovedì 3 maggio 2012

Elephant




La carriera registica di Gus Van Sant è da sempre stata divisa fra i progetti strettamente hollywoodiani (Will Hunting – Genio Ribelle, il remake di Psycho, Scoprendo Forrester…) e quelli più autoriali e di matrice indie. Elephant, che con Gerry e Last Days compone una trilogia definita Death Trilogy dallo stesso Van Sant, fa parte di questa seconda categoria. Siamo in un "normale" liceo statunitense, durante un "normale" giorno della settimana: seguiamo alcuni studenti durante la loro giornata, ci infiltriamo nelle loro vite come degli osservatori esterni, grazie a un fitto gioco di piani sequenza, che inseguono gli attori per tutta la scuola. Ideale punto d'unione è John, uno studente che viene accompagnato a scuola da suo padre, ubriaco come ogni giorno. Tra gli altri personaggi troviamo Elias, ossessionato dalla fotografia; Michelle, l'emarginata della scuola; e molti altri... La giornata sembra procedere in maniera normale, e ognuno è preso dai suoi piccoli drammi quotidiani: finchè due studenti in tuta militare irrompono nell'edificio armati fino ai denti, con l'intento di fare una strage. Ispirandosi in parte al massacro del liceo Columbine (in cui gli studenti Eric Harris e Dylan Klebold uccisero tredici persone per poi suicidarsi), già soggetto del documentario capolavoro di Michael Moore Bowling for Columbine, Van Sant vuole narrare il modo in cui la società statunitense vede la violenza: ignorandola come fosse il proverbiale "elefante nella stanza" di cui nessuno vuole rendersi conto. Attraverso un meccanismo ad incastro, cronologicamente sfasato, il film pian piano si ricompone come se fosse un puzzle, mostrando il quadro completo della vicenda. Alex, la mente dietro al massacro, nasce da un contesto di soprusi, e subisce le angherie di gran parte dei suoi coetanei. Il seme della strage cresce dentro di lui e diventa l'unica ragione di vita. Emblematica la differenza tra Alex e il suo compagno Eric, chiaramente meno intelligente, che sembra prendere parte alla strage quasi per noia e che infatti viene praticamente "usato" da Alex. Lo stile realista della prima metà del film si abbandona ad una sorta di satira metaforica ed esagerata nella parte finale. Mentre i due ragazzi massacrano i loro compagni armati di mitra, c'è chi passeggia per la scuola senza meta, chi scatta fotografie, mentre John, uscito dall'edificio e accortosi di ciò che sta succedendo, non si cura nemmeno di chiamare la polizia, e lascia la scuola come se niente fosse. Van Sant vuole dirci che la società è talmente abituata alla violenza da non rendersi conto nemmeno della sua presenza: e si ritorna all'elefante nella stanza che dà al film il suo titolo. Anche per genitori e insegnanti è comodo ignorare i problemi, per poi preoccuparsene quando essi si presentano, e magari chiedersi anche come è possibile che si verifichino orrori di questo tipo. Emblematica in questo senso una scena in cui tre ragazze passeggiano per la scuola dopo pranzo, parlando dei loro "problemi". Finchè, entrate in un bagno, tutte e tre, con assoluta normalità, vomitano il loro pasto. Una sequenza che ci mostra uno dei tanti problemi inosservati di questi ragazzi: non solo la violenza dunque, ma anche i problemi legati all'identità, alla discriminazione... Il film non ha un finale, lasciando un'enigmatica conclusione e mostrando, come nella prima scena, un cielo nuvoloso e indifferente al dramma che si è appena verificato: proprio come la società che Van Sant vuole descriverci.