mercoledì 18 aprile 2012

In Bruges

Dopo un lavoro andato male, l'assassino alle prime armi Ray e il più stagionato Ken vengono spediti dal loro boss a Bruges, in Belgio, in attesa di istruzioni. L'opera prima dell'autore teatrale irlandese Martin McDonagh analizza temi quali il peccato e la redenzione, il senso di colpa e le conseguenze delle proprie azioni. Anche i killer hanno un cuore, questa potrebbe essere la frase riassuntiva del film. Le strade acciottolate, i viali da fiaba, e i romantici canali della medievale e “cartolinesca” Bruges, fanno da contrappunto alle angoscie esistenziali dei due protagonisti, in particolare di Ray, che, dopo che il suo primo lavoro è finito in tragedia per ucciso erroneamente un bambino, è devastato dai sensi di colpa e sull'orlo del suicidio. Ken, al contrario, con gli anni è ormai riuscito a trovare una ragione nella sua professione, e prende Ray sotto la sua ala protettiva, tentando di guidarlo per non fargli ripetere i suoi errori. La sceneggiatura riesce a creare un bilanciamento perfetto tra commedia e dramma: in nessun momento si percepisce un cambio di stile repentino o immotivato, ogni svolta è ottimamente calibrata e ragionata. Un'umorismo che spesso sfocia nel grottesco, che “si ciba” di dramma e ironizza su argomenti difficili, fatto di dialoghi surreali ed esilaranti silenzi. In tutto ciò, il dramma dei protagonisti è palpabile, anche grazie alle interpretazioni. Colin Farrell regala la sua prova più matura come Ray: sempre a disagio, costretto, intrappolato, capace di rapide e maldestre esplosioni di rabbia. Il caratterista irlandese Brendan Gleeson regala un Ken pacato e amabile, che si interessa all'arte, il cui rapporto con Ray gronda affetto e rispetto, nonostante i frequenti battibecchi. Esilarante Ralph Fiennes nei panni del boss Harry, un isterico padre di famiglia con un personalissimo codice morale: la sua ingombrante presenza permea tutto il film. Fondamentale importanza è rivestita dalla città di Bruges. Anche grazie alla splendida fotografia, l'atmosfera fiabesca si trasforma spesso in incubo, e le architetture gotiche che la permeano danno una sensazione di inquietudine. Una città che è al contempo inferno, paradiso e purgatorio: forte il simbolismo in relazione al dipinto Il giudizio finale di Bosch, che Ray e Ken osservano in un museo, ricreato dal vero in una delle ultime scene. In Bruges è un'opera di grande spessore con uno stile personalissimo ed espressivo: siamo ansiosi di vedere il prossimo lavoro di McDonagh.

giovedì 5 aprile 2012

Wuthering Heights



Dopo Jane Eyre, tratto dal romanzo di Charlotte Bronte, ho finalmente avuto modo di vedere l'altro “adattamento Bronte” del 2011: si tratta di Wuthering Heights, di Andrea Arnold, basato ovviamente sul celeberrimo Cime Tempestose di Emily Bronte. Laddove il film di Cary Fukunaga non tradiva la sua matrice letteraria nell'adattare Jane Eyre, questo Wuthering Heights fa esattamente l'opposto: il romanzo originario viene utilizzato non come fonte da riportare pedissequamente, ma come una sorte di calderone tematico da cui trarre personaggi, emozioni e sensazioni, tenendo ben presente la diversità tra i due mezzi. Quella tra Heathcliff, trovatello adottato dal proprietario terriero Mr. Earnshaw, e Cathy, figlia di Earnshaw, più che una storia d'amore nel senso classico, è un legame intensissimo tra due esseri soli che si sono trovati, una relazione fisica, violenta, spesso sadomasochistica ma anche pura, delicata, naturalissima, che non è destinata ad esistere a causa della crudeltà e delle convenzioni sociali del mondo in cui vivono. Alla morte di Earnshaw, il figlio Hindley gli succede come capo famiglia, e riduce Heathcliff, di cui è sempre stato geloso, al ruolo di schiavo, vessandolo emotivamente e fisicamente. Quando Cathy accetta di sposare un altro uomo, Heathcliff fugge dalla tenuta. Tornerà diversi anni dopo, per reclamare Cathy ed avere finalmente la sua vendetta.
La Arnold non abbandona i temi caratterizzanti del suo cinema, come la difficoltà di crescere in ambienti difficili, l'incomunicabilità generazionale e la violenza recondita del mondo, sia fisica che verbale. Così come gli espedienti tecnici: il formato 4:3 sostituisce il 16:9, in modo da rendere l'immagine più ristretta e quindi claustrofobica. Le riprese sono effettuate con una macchina da presa a mano che quasi si “incolla” ai volti degli interpreti, restando con loro in ogni momento, mettendo la loro espressività al centro di tutto. La violenza della natura è elemento caratterizzante del film, e rispecchia le emozioni dei personaggi. Nella prima parte, i dialoghi sono ridotti all'osso, la terra è squassata da vento e pioggia, e l’interpretazione dei giovanissimi Solomon Glave e Shannon Beer è fisica, selvaggia, naturale: i due vivono immersi nella natura, armoniosamente in balia degli elementi. Nella seconda, quella del ritorno di Heathcliff, i dialoghi sono ben più presenti, il sole illumina gli ambienti, e James Howson e Kaya Scodelario, interpreti adulti, appaiono sofferenti e forzati nelle loro azioni: entrambi i personaggi sono cambiati, vivono “tradendo” la loro natura, e le eleganti stanze in cui si muovono assumono l'aspetto di una prigione dell'anima. Ottimo il cast: gli interpreti giovanili dei protagonisti sono superiori alle loro controparti adulte, ma tutto il cast è di grande livello. Ad esempio, Nichola Burley è perfetta nell'inscenare l'ingenuità di Isabella, sedotta da Heathcliff: un personaggio che, nonostante le poche scene, resta nel cuore. Facendo “a pezzi” il romanzo originale, ci si mantiene fedelissimi alle emozioni che vi sono rappresentate, riuscendo a realizzare un vero e proprio capolavoro di potenza visiva ed emotiva straordinaria. Manca solo la parte finale, quella della risoluzione e della speranza. Ma la Arnold non intende dare un momento di tregua ai suoi personaggi...

PS: Credo che The Enemy, la splendida canzone dei Mumford & Sons che chiude la pellicola, sintetizzi perfettamente il rapporto fra Heathcliff e Cathy.



And bury me beside you
I have no hope
In solitude
And the world will follow
To the earth down below.
But I came and I was nothing
And time will give us nothing
So why did you choose to lean on
A man you knew was falling?

domenica 1 aprile 2012

Attack the block


La fantascienza è un genere che in questi ultimi anni sta attraversando un periodo di crisi, dovuta principalmente al fatto che le grandi major preferiscano puntare su prodotti facili da incasso sicuro. Proprio per questo, l'unica via per trovare dei prodotti riusciti è cercarli nelle filmografie di paesi che non siano gli USA. Nel 2009, il gioiellino sudafricano District 9 era riuscito a fondere fantapolitica e film d'azione, regalando un piccolo capolavoro e mostrando le autentiche capacità della fantascienza. Il film britannico Attack the Block ha svolto lo stesso compito nel 2011. Il regista Joe Cornish sceglie di raccontare un'invasione aliena in modo assolutamente non convenzionale, ambientandola in un fatiscente sobborgo londinese, svolgendola tutta nel corso di una sola nottata, e scegliendo come protagonisti dei baby-delinquenti dediti a piccole rapine e spaccio di droga: niente di più lontano dal “sense of wonder” che caratterizzava i giovani protagonisti di classici quali ET, Explorers e I Goonies. I ragazzini di Attack the Block prima uccidono e poi si fanno delle domande, e fuggire da alieni ostili non è che un modo come un altro per trascorrere una serata. Nel calderone tematico del film, Cornish mescola numerose influenze e le “frulla” sapientemente insieme: dai classici film di zombie romeriani, a horror più recenti quali The Horde, per giungere ovviamente al Carpenter di Distretto 13 e La Cosa. Non mancano tocchi di umorismo surreale e grottesco, più che prevedibili vista la presenza di Edgar Wright come produttore e di Nick Frost come illustre cameo, entrambi importanti volti del nuovo cinema comico britannico. Il film riesce nell'arduo compito di rendere simpatici cinque ragazzi dediti, come già detto, a una vita criminale: ne emerge un ritratto per nulla semplicistico, che tende a mostrare in più occasioni i reali motivi dietro al loro stile di vita. Merito anche del cast: Moses, leader della banda, è un personaggio pieno di carisma grazie all'interpretazione del giovane John Boyega, sorta di mix fra Denzel Washington e Mike Tyson. Buone prove anche da parte del resto del cast, in particolare Jodie Whittaker nei panni dell'infermiera Sam, che incrocia, suo malgrado, la strada dei protagonisti. Tra i membri della banda spicca Pest, interpretato da Alex Esmail, perennemente armato di botti illegali: ha le battute migliori del film. Ottimi gli effetti speciali, che non abusano di CG ma anzi ricorrono spesso a metodi più tradizionali: gli alieni, giganteschi ammassi di pelo neri come la notte, sono diversi da qualunque cosa vista in passato. Singolare ma vincente la scelta di affidare la colonna sonora al duo elettronico Basement Jaxx: la musica si fonde perfettamente con l'ambiente urbano. Attack the Block è uno dei migliori film del 2011: la pensa così anche Quentin Tarantino, che l'ha inserito nella sua tradizionale Top Twenty dell'anno.