sabato 10 marzo 2012

Drive



Oggi iniziamo una breve rassegna di alcuni dei migliori film usciti fra il 2011 e questi primi mesi del 2012. Iniziamo con Drive, primo lavoro americano del danese Nicolas Winding Refn, premiato con la Palma d'Oro per la miglior regia all'ultimo festival di Cannes. Sentii parlare per la prima volta di questo film nell'ormai lontano 2010. Lo archiviai subito come uno dei tanti film con macchine veloci ed esplosioni. Non sapevo che al timone ci fosse l'autore del cult Pusher, e che non si sarebbe trattato del solito blockbuster. Tratto dal romanzo di James Sallis, Drive ci assorbe fin da subito nella sua atmosfera, grazie a una fotografia dai toni quasi onirici, a una preponderante estetica anni '80, e a una colonna sonora lisergica in cui abbondano synth e immacolati cori angelici. Le vicende del Driver senza nome interpretato da Ryan Gosling, di giorno stunt, di notte autista da rapina (un ruolo che negli anni '70 sarebbe stato affidato a Steve McQueen) conquistano subito per la loro semplicità: osserviamo un uomo solo e con problemi nel relazionarsi col prossimo, lo vediamo avvicinarsi ad Irene, una giovane donna, e a suo figlio Benicio, e affezionarsi lentamente a loro, un avvicinamento gestito con grazia e silenzi espressivi. Quando Standard, il marito di Irene, esce di galera, Driver decide di aiutarlo: l'uomo ha bisogno di soldi per pagare un debito contratto in prigione. Ma la situazione presto degenera e il nostro Driver passerà da difensore dei deboli a vendicatore senza pietà... Drive è un film che dalla trama potrebbe sembrare banale: impressione che viene smontata fin dall'inizio. I personaggi corrispondono a stereotipi ben rodati, ma nonostante ciò appaiono nuovi, credibili, stratificati. Gosling riesce a caratterizzare il protagonista con un'interpretazione volutamente inespressiva e “sotto alle righe”, che riesce a comunicare molto: Driver potrebbe apparire come un solitario dal cuore d'oro, ma nasconde dentro di sé una violenza che aspetta solo di esplodere, e quando lo fa si mostra in tutta la sua furia, trasformandolo in un inarrestabile angelo della morte. Così come l'Irene interpretata da Carey Mulligan nasconde tante ferite dietro alla sua dolcezza. Grande attenzione è riservata ai personaggi secondari: è impossibile non compatire Bryan Cranston nei panni del mentore Shannon, un uomo ferito dalla vita ma ricco di bontà e umanità; mentre Oscar Isaac, nei panni di Standard, rifugge dal clichè del marito violento e criminale, riuscendo a rappresentare un personaggio positivo, che ha avuto solo la sfortuna di trovarsi nei posti sbagliati ai momenti sbagliati. E quando si hanno grandi caratteristi come Albert Brooks e Ron Perlman, i “cattivi” non sembrano i soliti mafiosi da fumetto. Dietro un'estetica sognante e retrò, Drive nasconde un mondo malato e violento: un mondo di carne, sangue e sudore, in cui non ci si può fidare di nessuno se non di sé stessi. E in cui un personaggio come Driver, pur con tutte le sue contraddizioni, appare l'unico real hero, come recita la bella canzone dei College che fa da sottofondo al finale. Sono d'accordo con il presidente di giuria di Cannes: Drive è il miglior noir del decennio. E se lo dice Bob De Niro, possiamo esserne certi.

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